La peggiore crisi umanitaria attualmente in corso sul pianeta, almeno quanto al numero degli sfollati: oltre 10 milioni, di cui più di 2 milioni fuggiti nei paesi confinanti. Si aggiungono ai più di 20 mila morti accertati (sottostimati) e all’80% degli ospedali del paese fuori uso, mentre metà della popolazione necessita di ogni genere di aiuto, peraltro difficile da recapitare, dato l’elevato tasso di insicurezza. E poi le violenze dilaganti sui civili, i minori uccisi, violentati o reclutati dalle milizie, il sostanziale blocco delle attività economiche e in particolare l’interruzione delle attività agricole nelle zone fertili del paese, con conseguenti scarsità di cibo, impennata dei prezzi, rischi di carestia… E un ulteriore elemento di destabilizzazione: il collasso della capitale, di nuovo sotto attacco in questi giorni da parte dell’esercito regolare, una delle parti in conflitto, che tenta di riconquistarla.
Motore economico del paese, calamita e rifugio per i profughi causati dai tanti conflitti degli ultimi decenni, in meno di dieci mesi Khartoum ha infatti perso un terzo della popolazione – circa 6 milioni di persone – ed è sprofondata nell’insicurezza alimentare acuta. Situazione comune, peraltro, anche ad altre regioni del paese: nel Darfur, e non solo, praticamente
si muore di fame. E la popolazione a rischio di denutrizione, nei prossimi mesi, potrebbe arrivare a più di 2 milioni di persone.
Una situazione fuori controllo, denunciata a più riprese dall’Onu e da molti osservatori, nella sostanziale indifferenza della comunità internazionale.
Guerra da aprile 2023, paese diviso in tre
Il Sudan è uno dei più grandi paesi africani, ma è tra i paesi al mondo con un basso Indice di sviluppo umano (170° su 193 nel 2022). Quello che da un anno vi si consuma, e che determina un autentico disastro umanitario, è uno spietato conflitto interno.
Il 15 aprile 2023 si è infatti violentemente spezzato il precario equilibrio che aveva tenuto in vita il Transitional Sovereignty Council (Tsc), organismo governativo di transizione insediato dopo la caduta del dittatore Omar Hasan Ahmad al-Bashir, avvenuta nell’aprile 2019. Il premier Abdalla Hamdok era stato successivamente deposto, nell’ottobre 2021, da un golpe ordito da militari che solo per poco più di un anno sono riusciti a convivere nel governo di transizione: dall’aprile 2023 si fronteggiano in un’aspra guerra civile la Sudanese Armed Forces (Saf) del presidente del Tsc, Abdel Fattah al-Burhan, e la Rapid Support Forces (Rsf) del vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti.
Il paese, dopo più di un anno di violentissimi e diffusi scontri, è di fatto diviso in tre parti. Una in mano all’esercito regolare (Saf), che si professa custode della legittimità costituzionale e che controlla faticosamente gran parte del corso del Nilo, la costa del Mar Rosso con il porto di Port Sudan – ormai capitale di fatto – e parte degli stati del sud-est. Una seconda, composta da alcuni stati del sud-ovest e gran parte del Darfur, è sotto il controllo della Rsf. Infine, una terza vasta area dispersa nel paese è in mano a varie forze ribelli, legate a neonati sodalizi o antichi raggruppamenti locali. Lo scenario è reso ulteriormente complesso dai rilevanti appetiti geostrastegici, economici ed energetici che il Sudan sollecita e che dettano opache connessioni tra le singole parti in conflitto con potenze e attori internazionali, interessati al controllo dei traffici navali nel Mar Rosso, delle acque del bacino del Nilo, delle miniere di oro, dei giacimenti di petrolio e di altre risorse.
Oltre a causare un eccidio fratricida e rilevanti danni materiali in Sudan, la guerra ha generato effetti nei paesi confinanti, che hanno dovuto accogliere più di 2 milioni di persone: oltre 700 mila rifugiati in Ciad, oltre 630 mila in Sud Sudan, oltre 500 mila in Egitto, oltre 120 mila in Etiopia, quasi 30 mila in Repubblica Centrafricana e circa 7.500 in Libia. Spesso confinati in campi improvvisati, i profughi hanno come unica opzione la sopravvivenza. In contesti così difficili, le Chiese locali giocano un ruolo fondamentale per il sostegno alle persone rifugiate, spesso grazie al lavoro della rete internazionale Caritas, mobilitatasi anche a favore dei profughi sudanesi.
L’azione Caritas per i profughi in Ciad
Diversi sono i luoghi in cui
Caritas Internationalis sta operando, insieme alle Caritas locali. Un esempio importante è costituito dalla città di Mongo, in Ciad: il locale Vicariato apostolico e la locale Caritas, grazie al sostegno del network Caritas,
contribuiscono all’assistenza dei Sudanesi nei campi di accoglienza a Djiabal, Farchana e Métché (provincia del Ouaddai).
Caritas Ambrosiana ha deciso di contribuire a questa azione, sinora concretizzatasi nella fornitura di cibo e materiale per l’igiene a circa 30 mila persone (la gran parte donne sole con minori e altri soggetti vulnerabili): nel dettaglio, sono stati distribuiti 230 tonnellate di cereali e leguminose, 5 mila litri di olio di semi, 13 mila scatolette di sardine, 10 mila confezioni di pasta, 1.900 sacchetti di concentrato di pomodoro, 2 mila pasti caldi, 5 mila stuoie per dormire, 10 mila zanzariere, 5 mila coperte, 10 mila saponette, 8.500 secchi e bidoni in plastica. Si sono inoltre realizzati 75 servizi igienici e docce, installati 75 lampioni solari e realizzati 3 pozzi per l’acqua potabile.
Le donne di Métché e gli “orti comunitari”
Un nuovo, significativo sviluppo progettuale ha per protagoniste le donne profughe del campo di Métché, che non sono rimaste con le mani in mano ad attendere l’arrivo degli aiuti e la fine della guerra. Alcune di loro, dopo aver notato che alcuni terreni limitrofi a Méthcé non erano coltivati, hanno trovato un accordo con i proprietari, che hanno permesso loro di coltivare gratuitamente la terra in cambio della piantumazione e della cura di alberi, indispensabili per frenare la desertificazione in un territorio per sua natura povero e segnato da delicati equilibri ambientali.
La proattività delle donne sudanesi non è passata inosservata: gli operatori della Caritas di Mongo hanno deciso di fornire loro strumenti agricoli per coltivare, sementi, alberi da piantumare e soprattutto le attrezzature necessarie per irrigare. Ne è nato il progetto degli “
orti comunitari”, di cui Caritas Ambrosiana ha sostenuto la prima fase e di cui ha valutato positivamente gli esiti. Ora intende consentirne lo sviluppo e la diffusione: per questa ragione ha lanciato la campagna
“Emergenza Sudan – Orti comunitari”, chiedendo a fedeli e cittadini di donare con generosità. In questo modo contribuiranno in generale a
intensificare gli aiuti alla popolazione civile sudanese, e nello specifico
aiuteranno le donne rifugiate in Ciad a essere protagoniste del proprio riscatto e i loro bambini a nutrirsi in modo adeguato e sano. Il progetto ha ulteriori risvolti positivi: contribuisce a distendere i rapporti tra comunità che accolgono e comunità rifugiate; incrementa le disponibilità di reddito e di spesa dei profughi (e di conseguenza i circuiti commerciali ed economici locali); grazie alla posa di alberi migliora l’ambiente e il paesaggio, rallentando l’avanzata del deserto.
COSA PUOI FARE PER SOSTENERE IL PROGETTO
Con 15 euro puoi donare una zappa, un rastrello, un innaffiatoio e un secchio
Con 25 euro puoi donare 150 grammi di sementi selezionate
Con 50 euro puoi donare 10 alberi
Con 80 euro puoi donare 10 alberi da frutto
Con 230 euro puoi donare una motopompa per estrarre l'acqua dai pozzi
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Causale: Emergenza Sudan - Orti comunitari in Ciad
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