Il Bangladesh ha ospitato, se includiamo tutti i rifugiati Rohingya che dal 1978 trovano riparo e protezione nel Paese,
oltre un milione di persone provenienti dal Myanmar e di etnia, appunto,
Rohingya.
A fasi alterne ondate di violenze e migrazioni hanno portato centinaia di migliaia di persone ad attraversare il confine per rifugiarsi nel Paese confinante dove, però,
le condizioni di vita sono tutt’altro che semplici.
Al momento
oltre 740 mila rifugiati sono accolti nel campo profughi più grande del mondo, nel distretto di Cox’s Bazar. Le durissime violenze e repressioni scoppiate nello
stato del Rakhine in Myanmar che hanno visto interi villaggi incendiati sistematicamente dall’esercito regolare, donne stuprate con ugual sistematicità ed omicidi su larga scala, hanno portato ad un
esodo mai visto prima.
La soluzione per il rimpatrio dei Rohingya, in patria nemmeno riconosciuti come gruppo etnico ufficiale,
è molto lontana e negli ultimi tre anni nessun rimpatrio è andato a buon fine.
Intanto
le condizioni di vita dei rifugiati sono sempre precarie dal punto di vista fisico, in baracche di lamiera e bambù ma
anche sul versante psicologico, dove l’incertezza e la precarietà senza prospettive sono divenute condizioni di normalità, cosi come lo sono la
carenza di servizi essenziali, il mancato accesso ai beni di prima necessità e la negazione di qualsiasi partecipazione ai processi decisionali.
Sono stati costruiti oltre 50 mila rifugi temporanei – ora divenuti “stabili” – e circa il 75% delle famiglie deve condividere l’alloggio con altre mentre i bambini perdono anni di istruzione formale e generazioni intere resteranno senza radici.
L’epidemia da Covid -19 è solo una problematica aggiuntiva alle numerose emergenze che la popolazione vive: monsoni, malattie di altra origine, conflitti con la popolazione ospitante e interni, siccità.
di Beppe Pedron, Caritas Italiana
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Nel Cielo, la speranza per Ashid. Vita nel campo profughi più grande del mondo: Cox’s Bazar
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