Rifugio Caritas Via Sammartini: Questo è un letto (ma ancora per poco)


Nei pressi della stazione centrale di Milano, in via Sammartini 114, nello stesso luogo che per 30 anni ha ospitato il Rifugio di Fratel Ettore oggi c'è il Rifugio Caritas, ricovero notturno per i senza dimora gestito dalla Caritas Ambrosiana, concepito per dare ai senza dimora una risposta immediata ad un bisogno urgente: quello di trovare un riparo per la notte. 
L’intervento di ristrutturazione è stato reso possibile grazie al sostegno di Ferrovie dello Stato Italiane, Enel Cuore, Fondazione Cariplo e Fondazione Milan.

Il Rifugio Caritas non è un punto di arrivo, ma un posto da cui ripartire. Per questa ragione il centro d’accoglienza è parte integrante della rete dei servizi sociali pubblici e privati del territorio di Milano. Particolarmente stretto è il rapporto con i servizi gestiti direttamente da Caritas Ambrosiana: il Sam  (Servizio di accoglienza milanese, rivolto agli italiani) e il Sai (il Servizio di accoglienza immigrati, riservato agli stranieri). Tutti i servizi della rete Caritas, le parrocchie e i servizi sociali territoriali fanno loro riferimento per le segnalazioni. Le Unità mobili e il Centro di Aiuto Stazione Centrale possono segnalare situazioni di emergenza.

Dall’inizio del 2012 il Rifugio ha dato ospitalità a quasi 200 persone. Tutti uomini. Metà italiani e metà stranieri. Storie diverse. Molte figlie della crisi economica che ha colpito i più vulnerabili ma anche quelli in precario equilibrio sulla soglia della povertà. Gli ospiti rimangono nella struttura in media per qualche settimana. Poi se ne vanno, lasciando il posto ad altri.
«Questo è un punto di transito, da qui si passa per ripartire, non per fermarsi», spiega Desio De Meo, il coordinatore dell’equipe di operatori ed educatori. E, a conferma, sottolinea con orgoglio un dato: il 50% di quelli che sono usciti, stanno in un posto migliore: sono tornati in famiglia, pagano un affitto in un appartamento in condivisione, o la retta di un pensionato sociale».

Gli ospiti entrano alla spicciolata dalla porta d’ingresso rossa che si apre proprio sul muro imponente della massicciata ferroviaria lungo via Sammartini.
Molti hanno cenato in qualcuna delle mense dei poveri della città e ora si preparano a riposare. Qualcuno va con l’asciugamano sotto braccio alle docce. Qualcun altro, prima di passare in stanza, (ce ne sono in tutto 16 attrezzate con letti a castello, per un massimo di quattro posti ognuna) si siede ai tavolini nella sala ritrovo per una partita a dama, a scacchi, a ramino con i volontari, 34 in tutto, che si danno il turno lungo tutta la settimana: insegnanti, studenti, lavoratori. Gente arrivata dalle parrocchie dei dintorni e con il passaparola anche da molto più lontano. Tra loro c’è anche uno come Nino, ex parrucchiere in pensione, che ogni lunedì dopo un giro di briscola, a chi lo chiede, taglia barba e capelli. Il servizio pare sia molto gettonato. Rosaria, invece, è medico. Viene per fare compagnia, ma tra una chiacchiera e l’altra, ogni martedì, visita pure.

Tutto è nato molto spontaneamente. Dalla generosità e dalla relazione delle persone. Questo aveva raccomandato l’Arcivescovo di Milano, Angelo Scola, quando a dicembre dello scorso anno venne a inaugurare il Rifugio. E questo è quello che sta succedendo. Mentre sopra sferragliano i treni, qui sotto si incrociano le vite di persone diverse, che intorno a un tavolino, per qualche ora, si spogliano di tutte le maschere e le identità posticce che ci si costruisce addosso senza nemmeno volerlo.

«Un giorno una persona che era venuta a trovarci, mi chiese alla fine dell’incontro chi fossero i volontari e chi gli ospiti. Subito dopo averlo chiesto si interruppe temendo di aver fatto un gaffe. Lo tranquillizzai: gli dissi che era il migliore complimento che poteva farmi», racconta De Meo.

 

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