Chi usa parole d’odio ha gravi responsabilità
«Aiutare le comunità locali a incontrare e conoscere migranti e profughi. Quelli veri, in carne e ossa, non quelli degli slogan da social o da comizio. Non togliere ma investire risorse e competenze nell’integrazione. Affrontare la povertà, la precarietà e l’insicurezza che minacciano gli italiani più fragili come gli stranieri. E tolleranza zero contro tutte le parole d’odio». Ecco, secondo Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana, come reagire al clima di crescente intolleranza e odio che sta montando contro gli stranieri e contro quanti si impegnano nella loro accoglienza e inclusione sociale.
Uno scenario che rilancia la vocazione pedagogica della Caritas: «Se certe parole e certe idee sono presenti anche tra i fedeli, nella comunità cristiana, vuol dire che non abbiamo fatto abbastanza, vuol dire che occorre più Caritas – scandisce Gualzetti –. Non parlo della Caritas che “fa” accoglienza, ma della Caritas che educa la comunità alle ragioni dell’accoglienza secondo il Vangelo della carità. Si tratta di partire dall’incontro con i poveri per riconoscerli fratelli, scoprire le vere cause della povertà e la necessità di nuovi modelli di sviluppo, promuovere cambiamenti di mentalità e stili di vita».
Che fare, di fronte ai sempre più frequenti episodi di violenza contro gli stranieri? «Da un lato non dobbiamo tollerare lo sdoganamento di parole d’odio e di schemi “noi loro”, che arrivano a stigmatizzare lo straniero come “sub-umano”. Chi porta avanti questi messaggi nella cultura, nella politica e nelle istituzioni, e diffonde la mentalità del capro espiatorio, magari per calcolo elettorale, si assume una grave responsabilità. Prima o poi arriva chi lo prende sul serio e passa dalle parole ai fatti. Dall’altro lato – riprende Gualzetti – limitarsi a lanciare accuse di razzismo serve a poco, bisogna andare alle radici della paura e del risentimento. Serve una grammatica nuova, che mette al centro l’intangibile dignità di ogni persona. E serve lo sforzo concorde di politica, istituzioni, aziende, terzo settore per affrontare problemi di tutti come la povertà. Aiutando gli italiani a capire che non sono gli stranieri a minacciare il loro benessere e il loro futuro».
Rispondendo all’appello di papa Francesco e del cardinale Angelo Scola, la diocesi di Milano dal 2015 ha accolto duemila migranti grazie alla disponibilità di oltre cento parrocchie. Altri 21, appena arrivati grazie ai “corridoi umanitari”, sono stati accolti in sette parrocchie.
«La nostra esperienza di ospitalità diffusa – conclude Gualzetti – mostra che far incontrare le persone è il modo migliore per vincere diffidenze e paure. I locali “scoprono” gli stranieri come persone vere, comprendono la realtà dei loro bisogni e sperimentano come la presenza di questi ospiti – anche grazie ai percorsi di inclusione che mobilitano competenze professionali e la generosità di tanti volontari – promuove coesione sociale e sicurezza vera. Caritas sostiene percorsi di dignità, accoglienza e integrazione per tutti: italiani e stranieri, rifugiati riconosciuti e “diniegati”, che non possiamo abbandonare al loro destino».
Articolo tratto da Avvenire di Lorenzo Rosoli