Lavoro più qualificato e flessibile
Creare percorsi per aiutare i disoccupati a reinserirsi nel mondo del lavoro. Questo l’obiettivo della seconda fase del Fondo Famiglia lavoro. E per conoscere le figure professionali più ricercate, nel distretto di Lecco è iniziata un’analisi approfondita sul territorio. «Abbiamo cercato di raccogliere tutte le informazioni disponibili per avere un’idea chiara dei bisogni delle imprese: in base alle richieste organizzeremo il lavoro dei prossimi mesi, per aiutare le persone che hanno perso il lavoro negli ultimi due anni», ha spiegato Matteo Ripamonti, responsabile del Distretto di Lecco.
Dall’indagine emergono alcune linee di tendenza. Tiene il settore manifatturiero, comparto tradizionale di questa zona. Mentre nascono nuove possibilità offerte in particolare dal settore del turismo e della ristorazione, come cuochi, camerieri, addetti al marketing e agli eventi per la promozione del territorio. Nel primo caso le barriere di accesso sono più alte rispetto al passato. Si cercano figure professionali con qualifiche specifiche, non più operai generici: per esempio, operai meccanici industriali o addetti allo stampaggio su plastica o su altri materiali. Nel caso del turismo, invece, è richiesta grande flessibilità.
Un mondo del lavoro, dunque, in continuo cambiamento che pretende dimestichezza con tecnologie all’avanguardia, lingue straniere, aggiornamento continuo. Professioni senza orari, in cui spesso diventa difficile conciliare famiglia e lavoro. Caratteristiche dalle quali sono molto distanti le persone che si sono rivolte al Fondo «Gli extracomunitari hanno accumulato tantissima esperienza con le agenzie di lavoro interinale, ma con un percorso troppo frazionato per mansioni e competenze e con incarichi precedenti molto modeste – sottolinea Ripamonti - Molti sono coloro che dicono di aver fatto il muratore. Ma si tratta per lo più di manodopera di basso livello». «Gli italiani, invece, - continua Ripamonti - sono soprattutto uomini 50enni, che hanno lavorato per ventidue o ventitre anni nella stessa azienda, con incarichi generici o poco qualificati. Hanno svolto un solo lavoro per tutta la vita, sono rimasti a casa perché l’azienda ha chiuso o ha fatto tagli al personale e fanno fatica a ricollocarsi: spesso la loro figura professionale oggi non esiste nemmeno più. Molto demotivati, con una bassa stima di sè a causa dei continui rifiuti. Fanno fatica a ripartire ed è molto difficile aiutarli a capire che hanno ancora qualcosa da dire e da fare per la società» commenta Ripamonti.