Malati di azzardo, chi paga il conto?

Il gioco d’azzardo può diventare una malattia. Dunque, chi ne è vittima deve ricevere le cure del caso. Il principio – difeso da medici, operatori, volontari impegnati da tempo a sanare gli effetti collaterali della passione italiana per la dea bendata –, è stato alla fine riconosciuto anche dallo stato, grazie a un ministro tecnico, il titolare della salute nell’esecutivo Monti, Renato Balduzzi, che con il decreto che porta il suo nome ha introdotto, alla fine di settembre, le ludopatie nei Lea (Livelli essenziali di assistenza). Riconoscendo dunque la dipendenza da gioco tra le patologie delle quali deve farsi carico il Sistema sanitario nazionale, cioè la collettività. Il decreto è stato presto convertito in legge e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 10 novembre 2012: da allora, chi soffre di gioco compulsivo ha gli stessi diritti a essere curato e assistito, ad esempio, di un tossicodipendente.

Tra i 10 e i 15 milioni
L’introduzione delle ludopatie tra i Lea è una decisione forte, la più significativa e gravida di conseguenze, tra tutte quelle sancite dal provvedimento di riforma della sanità (peraltro assai ridimensionato, rispetto a come era entrato in consiglio dei ministri, nella scorsa estate, a causa delle pressioni delle lobby del gioco, alle quali evidentemente anche qualche ministro del governo Monti doveva essere sensibile). Tuttavia, tale indicazione rischia di rimanere una semplice dichiarazione di principio. Infatti il provvedimento Balduzzi, per diventare realmente operativo, deve ancora ricevere il via libera del ministero dell’economia, della Conferenza stato-regioni e delle commissioni parlamentari sanità di camera e senato. La strada è tutt’altro che in discesa. E non solo perché di mezzo ci sono state le elezioni.
Una relazione tecnica del Dipartimento della programmazione e dell’ordinamento del servizio sanitario nazionale stima tra i 10 e i 15 milioni di euro l’impatto economico dell’introduzione nei Lea delle nuove malattie. Una cifra cospicua, per la quale occorre trovare la copertura finanziaria: cosa non facile, per nessun governo, soprattutto in una fase di recessione economica come quella che sta attraversando l’Italia. Non a caso il presidente della Conferenza stato-regioni, il governatore dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, ha già messo le mani avanti. «Ogni ulteriore iniziativa di politica sanitaria – ha recentemente dichiarato – deve poggiare su un quadro economico di risorse certo». E, ancora più esplicitamente, ha aggiunto: «Vanno evitate iniziative unilaterali e annunci oggettivamente irrealizzabili». Tanto per dire che tira aria di sbarramento.
Paradossalmente, tuttavia, i tecnici del ministero della salute stimano di nessun impatto il costo delle cure per i giocatori d’azzardo patologici. Nella relazione tecnica che esamina l’attuazione del decreto Balduzzi, ribadiscono infatti «il principio che le persone con ludopatia hanno diritto ad accedere ai servizi territoriali per le dipendenze già attivi nell’ambito del Sistema sanitario nazionale, per ricevere le prestazioni di cui hanno bisogno, al pari dei soggetti con altre forme di dipendenze patologiche».  Ma specificano che: «La situazione che verrà a determinarsi è paragonabile a quella che potrebbe determinarsi con l’immissione sul mercato di una nuova sostanza stupefacente o psicotropa; l’aumento dei soggetti che potrebbero rivolgersi ai SERT (i servizi per le tossicodipendenza, ndr) non comporterebbe necessariamente un aumento dell’offerta di servizi e, di conseguenza, un incremento di spesa a carico del Ssn, soprattutto nella fase iniziale».
Riassumendo, dunque, poiché i cosiddetti “ludopatici” (come li chiama il ministero, contro la definizione del mondo accademico e scientifico, che parla di giocatori d’azzardo patologici) potranno essere curati da medici e psicologi già in servizio nei Sert e lo stato non dovrà cacciare un euro in più per curare gli addicted dell’azzardo. C’è una nuova malattia, ma esistono già i servizi e i professionisti che la dovranno trattare: a bilancio non si dovrà mettere nemmeno un euro.
Utenti al Sert? «Più 10%»
Peccato che nella realtà le cose stiano diversamente. Medici e terapisti hanno già lanciato l’allarme. Maurizio Fea, psichiatra e membro del consiglio direttivo di FeDerSerd (la federazione dei servizi per le dipendenze, i vecchi Sert), ha posto la questione in un incontro al senato con i candidati alle elezioni politiche, avvenuto l’11 febbraio.
Dall’inizio dell’anno, per effetto del decreto Balduzzi, nelle sale gioco sono comparsi i cartelli con i numeri di telefono dei servizi a cui i giocatori possono rivolgersi quando si accorgono di non riuscire più a tenere a bada la frenesia da azzardo. FederSerd ha condotto un’indagine sulle conseguenze che questa misura ha avuto, nel mese di gennaio, su un piccolo campione di servizi. «E in un solo mese – rivela Fea –, nei 52 servizi che abbiamo monitorato, abbiamo registrato 150 nuovi utenti, “malati” di gioco. Se proiettiamo questo dato sugli oltre 500 Sert presenti in Italia e lo estendiamo all’intero anno, possiamo stimare un aumento complessivo di 15 mila nuovi pazienti, che corrisponde a un incremento del 10% circa degli utenti dei Sert. Molto concretamente, questo significa che se dovremo occuparci anche dei giocatori patologici, senza poter assumente né un medico né uno psicoterapeuta in più, dovremo lasciare nella sale di attesa tutti coloro che hanno forme di dipendenza più tradizionali. Senza poi contare che solo la metà dei Sert può contare già su professionisti che si sono preparati ad affrontare le nuove patologie. Con una battuta, potremmo dire che il ministero vuole fare le nozze con i fichi secchi. Ma come sanno tutte le future spose, normalmente, in casi simili, i risultati lasciano molto a desiderare».
Principio svizzero
Si può obiettare che Fea ragioni pro domo sua e che la sua posizione sia in fondo una difesa corporativa. Affermare però che i giocatori patologici sono degli ammalati di cui si deve fare carico il Sistema sanitario nazionale e poi non mettere a bilancio nemmeno un euro appare quantomeno contradditorio. In altri paesi, i costi sanitari delle ludopatie sono stati calcolati, eccome. E si è anche trovato il modo per coprirli. È il caso della Svizzera, paese per altro tradizionalmente liberale nei confronti del gioco d’azzardo.
L’istituto di ricerche economiche dell’Università di Neuchatel, in collaborazione con il Centro studi sul gioco eccessivo di Losanna, ha calcolato che solo i costi medici diretti dei 34.900 giocatori patologici accertati nel paese dei cantoni ammontano a 8,5 milioni di franchi (6,8 milioni di euro). In tali costi sono compresi: l’acquisto dei farmaci, il ricorso alle cure psichiatriche, i ricoveri nei centri specializzati. Per ripagare questa spesa, il governo elvetico ha fatto una cosa semplicissima: ha battuto cassa presso chi ha prodotto i costi. Da tempo, in Svizzera, lo 0,5% delle entrare del gioco d’azzardo sono destinate alle attività di cura, prevenzione e ricerca sul gioco d’azzardo.
«È un principio sacrosanto – commenta Maurizio Fiasco, sociologo e consulente della Consulta nazionale antiusura –. Si caricano sulle imprese le esternalità negative che producono. Questo vale per le aziende inquinanti, che ripagano i danni ambientali. Deve valere anche per le imprese del gioco, che devono essere tenute a risarcire la collettività dei danni sanitari, effetto collaterale delle loro attività. Tale principio, tra l’altro, a maggior ragione dovrebbe valere in Italia, dove le imprese del settore operano in funzione di una concessione rilasciata dallo stato. Invece, paradossalmente, proprio da noi, dove lo stato è interventista, il settore gode di una deregulation maggiore di quella che paesi ben più liberisti hanno concesso».
Proprio riprendendo la ricerca svizzera e proiettandola sul territorio italiano, Matteo Iori, presidente del Conagga (Coordinamento nazionale dei gruppi per giocatori d’azzardo), ha provato a stimare l’impatto sanitario e sociale delle cosiddette ludopatie. «La conclusione alla quale siamo arrivati – spiega – è che in Italia sarebbe sufficiente destinare l’1% degli introiti del gioco per finanziare almeno le cure».

L’idea di vincolare il fatturato annuo del gioco al finanziamento di azioni di prevenzione, assistenza e cura per le vittime dell’azzardo era già stata presentata nella fase di discussione del decreto Balduzzi. In una delle prime bozze di quel provvedimento vi si faceva pure riferimento. Poi il punto era sparito nelle versioni successive del testo. Durante la campagna elettorale, una delle richieste fatte ai candidati dalle realtà non profit che aderiscono alla campagna “Mettiamoci in gioco” riguardava proprio la tassazione a fini di cura degli introiti dovuti all’azzardo di stato. Staremo a vedere che cosa farà il nuovo governo.

(articolo di Francesco Chiavarini, pubblicato su "Scarp de' tenis", marzo 2013)

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