«Avendo molto tempo libero, è un modo per vincere la noia». Collassa così, nel gorgo malefico delle scommesse da telefonino, la fortuna di un campioncino che a 22 anni si trova a un passo dalle vette della sua professione, ha conseguito discreta celebrità, tira calci sapienti per un milione di euro all’anno. Ma evidentemente non sa che prospettiva e che senso dare, alle giornate del suo successo: e le riempie di click compulsivi, di giocate in solitaria, di schermate virtuali e di rischi dannatamente reali, arrivando al punto – contratti debiti per il triplo del suo pur ragguardevole stipendio annuo – di ricevere minacce del tipo ti spezzo le gambe, e poi soccombere a una pressione ormai più forte di lui, fino al pianto, alla confessione, alla squalifica commutata in parte (questa sì, una bella notizia) nell’impegno a sensibilizzare i suoi coetanei, nelle scuole, nelle società sportive, sui rischi letali del gioco d’azzardo.
Ci voleva l’avvilente parabola di alcuni giovani calciatori per rivelare a un Paese distratto che i guasti dell’azzardo non sono roba da sfigati, ma possono rovinare carriere, famiglie e patrimoni in ogni ceto sociale, e sempre più di frequente minacciano i nostri ragazzi, sprigionandosi dall’universo parallelo dell’online, nel quale – rispetto al mondo reale – è ancora più difficile percepire la materialità dei rischi e scorgere i confini tra legale e illegale.
In Italia (dati riferiti al 2022, e al solo azzardo legale) si gioca globalmente per quasi 135 miliardi euro all’anno, si “spende” (ovvero concretamente si perde) per quasi 20 miliardi di euro all’anno, si scommette sullo sport per quasi 1 miliardo di euro al mese: cifre di un’industria colossale, che ingrassa sempre più i concessionari di settore, in proporzione alimenta sempre meno le casse dell’erario, e sforna costi sociali incalcolabili (difficile misurare, infatti, i rovesci finanziari ed esistenziali cui si espongono 5,1 milioni di giocatori “abitudinari”, dei quali 1,5 “problematici”).
Minori e giovani sono sempre più avvolti, fino a esserne in molti casi travolti, dalle spire suadenti del gioco d’alea. Legale, illegale: fa poca differenza, quando poi bisogna affrontare una pulsione che scivola poco a poco nell’ossessione, fino a divenire dipendenza patologica. Per chi si occupa del triste fenomeno, come gli operatori sanitari, diverse associazioni, le fondazioni antiusura, numerose Caritas, è chiara la portata educativa, non solo terapeutica, della sfida. Ma è altrettanto chiaro il paradosso di sistema: come può essere orientato, un giovane calciatore, a non perdersi in scommesse, se il suo sport è ormai ridotto a vettore pubblicitario (maglie e divise, sponsorizzazioni di squadre e di eventi, spot multipiattaforma, chat che invadono le dirette) delle più svariate formule dell’azzardo? E come può un ragazzo capire che su quel terreno non ha senso avventurarsi, se la cultura dominante e la galassia mediatica lo invita e lo agevola in mille modi a scommettere, illudendolo di provare brividi vitali, guadagnare divertendosi, arricchirsi senza sforzo? Perché, sì, i minorenni giocano eccome, on line e nelle chat con i coetanei con i soldi caricati sulle carte di credito che i genitori ignari caricano. E lo fanno in perfetta solitudine nel sempre più diffuso gioco on line, segnalandoci che hanno bisogno di relazioni educative significative, non paternalistiche, ma di adulti presenti e soprattutto autorevoli.
L’azzardo antidoto alla noia, l’azzardo garanzia di successo: bugie che troppi, e sempre più giovani, pagano amaramente care. Va bene punire i reati, regolare gli eccessi, curare le patologie: ma forse dovremmo imparare a prevenirli. Limitando il perimetro di un business, che più si rafforza, più indebolisce destini individuali e relazioni sociali.
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto di Farsi Prossimo sul Segno di Novembre 2023