Puntuale, in concomitanza con fatti di cronaca oggettivamente inquietanti, è riemersa durante l’estate una dinamica ricorrente nel dibattito pubblico del nostro Paese: l’invocazione di misure penali e repressive (e stavolta tale tendenza si è tramutata in norme, varate con opinabile celerità) per rispondere a problemi che hanno origine e natura socio-economica, e semmai educativa.
Per discutere di criminalità minorile (e più in generale di disagio minorile) bisognerebbe avere la freddezza di partire da elementi oggettivi e non farsi infiammare, come invece accade nel frullatore mediatico, dai sentimenti suscitati da eventi (o sequenze ravvicinate di eventi) clamorosi e dolorosi.
Si scoprirebbe allora che sì, in Italia il numero di under 18 denunciati o arrestati è aumentato sensibilmente nel 2022, rispetto al 2019, ultimo anno pre-pandemico (+14,3%, fonte Polizia di Stato), ma senza che ciò abbia riportato tale numero ai livelli di metà dello scorso decennio, data dopo la quale si era registrata una decisa flessione.
È discutibile, dunque, l’affermazione secondo cui la criminalità minorile sia fuori controllo, in Italia. Mentre innegabile, lo attestano numerose fonti e ricerche (in ambito scolastico, educativo, psicoterapeutico, psichiatrico), è l’espansione dell’area del disagio – comprese manifestazioni specifiche, come la dispersione scolastica – che coinvolge e in qualche caso travolge soprattutto gli adolescenti.
Per stabilire come porsi, di fronte a questo scenario complesso, occorre partire da un principio che a Caritas sta particolarmente a cuore: giustizia e sicurezza sono direttamente proporzionali a educazione e cultura. Principio a cui consegue che, per offrire protezione a una comunità, è necessario investire educativamente a lungo termine, più che punire nell’immediato: occorre programmare e garantire presenze capillari e qualificate (insegnanti, educatori, assistenti sociali, allenatori), che coltivino in bambini, adolescenti e giovani un autentico desiderio di giustizia e un radicato costume di legalità. E bisogna valorizzare e incrementare i segni di speranza che sono costituiti da scuole inclusive, spazi di socialità e aggregazione, laboratori formativi, luoghi di ascolto, percorsi di orientamento e inserimento lavorativo, azioni di educativa di strada…
Solo e primariamente attraverso solidi sistemi di cura, e non soltanto prevedendo nuovi strumenti di repressione e di inasprimento delle pene, l’area del disagio e della criminalità minorile verranno prosciugate. L’approccio solo repressivo rischia di essere inutile, e addirittura controproducente. Basterebbe vedere cosa è accaduto, sempre quest’anno in Italia (e in Europa), sul versante delle migrazioni. Dopo il tragico naufragio di Cutro, le sole nuove risposte, per arginare il fenomeno delle letali traversate del Mediterraneo, sono state l’accentuazione delle pene a carico degli scafisti e un accordo con la Tunisia per ostacolare i flussi in partenza da quel Paese. Risultato della strategia repressiva e contenitiva: estate di sbarchi-record sulle coste italiane.
Insomma, limitarsi a fare la faccia cattiva appare un buon modo per tranquillizzare nell’immediato opinioni pubbliche scosse e aizzate, ma una pessima strategia per affrontare problemi sociali e umanitari complessi e delicati. La tutela dell’ordine pubblico è obiettivo sacrosanto, ma se non affonda le radici nel terreno della prossimità e della cura, è destinata a fallire
Luciano Gualzetti
Leggi tutto l'inserto Farsi Prossimo sul Segno di Ottobre 2023