Va in soffitta, carico di fatiche e di repentine, spettacolari disgrazie, un nuovo anno di questo decennio che appare maledetto, votato a emergenze inedite, su scala globale. Non che nei primi vent’anni del nuovo millennio avessimo attraversato stagioni sempre dorate (gli shock repentini e le sofferenze protratte non erano mancati, dall’attentato alle Torri gemelle alle guerre antiterrorismo, dalle grandi crisi bancarie e quella del debito), ma il terzo decennio del secolo in corso sta ribaltando equilibri, sicurezze, consuetudini e prospettive per buona parte della popolazione mondiale, con una frequenza implacabile, che atterrisce e fa sperimentare un sentimento di impotenza.
La pandemia da Covid, rivelatrice della fragilità dei sistemi sanitari; le guerre in Ucraina e Terra Santa, con i loro riflessi militari, geopolitici ed economici; l’impennata dei costi energetici e il ritorno al galoppo dell’inflazione, che anche nei Paesi più avanzati acuiscono spirali di povertà; i sempre più incalzanti e spaventosi guasti associabili al cambiamento climatico, e all’esasperante lentezza con cui i centri di potere politico, produttivo e finanziario mettono in agenda misure concrete di mitigazione e adattamento; mettiamoci pure terremoti devastanti, come i recentissimi in Turchia-Siria, Marocco, Afghanistan: ciascuno di questi eventi basterebbe da solo a riempire di angoscia un intero decennio, e invece ce li siamo ritrovati tutti all’opera, mescolati e aggressivi, in un solo triennio.
Che fare, di fronte a un panorama tanto convulso e cupo? Cedere allo sconforto? Rassegnarsi allo strazio delle carneficine e dei naufragi, allo sbriciolamento del welfare, all’infragilirsi dei diritti e al parallelo tonificarsi di pensieri e parole d’odio, alla minaccia di cataclismi impensabili sino a una generazione fa? Per fortuna al cristiano, ma in un certo senso e più ampiamente anche a ciò che è costitutivo dell’umano, è intimamente connesso un principio di speranza che appare inestinguibile, resistente ai rovesci anche più inaspettati e sanguinosi. L’abbiamo visto all’opera, magari apparentemente compresso, ma tradotto in storia, relazioni, cure, progetti e interventi d’aiuto anche in questi tre anni. La rete delle Caritas, nel suo piccolo, e anche nel corso di questo 2023, ha fatto molto per sostenere malati, vulnerabili, poveri e impoveriti, profughi, migranti, alluvionati, terremotati. E diversi altri soggetti, individui e organismi, istituzionali e non governativi, nei loro ambiti specifici di azione si sono altrettanto prodigati.
Quello che non bisogna fare, è cedere alla logica dell’emergenza. Come se gli accadimenti che ci troviamo a fronteggiare fossero ineluttabili, imprevedibili castighi. Inflitti agli uomini da Dio, dal Caso, dal Destino, dalla Natura, a seconda delle credenze. Invece questi mali hanno radici rintracciabili. In cattive politiche, in modelli economici e sociali escludenti, in relazioni tra Stati non improntate al primato della pace, in pratiche di consumo e produzioni non sostenibili. E spesso questi fattori causali sono tra loro connessi, tanto che trascurarne il complesso intreccio equivale a non coglierne l’origine, la portata, le potenziali derive.
Papa Francesco, nella sua ultima esortazione, Laudate Deum, ribadisce e approfondisce il tema dell’ecologia integrale, uno dei cardini del suo magistero. È un percorso che ci conduce a comprendere che non si capisce appieno la povertà, e non si può lavorare a prevenirla e combatterla, se non si considerano le minacce all’ambiente e alla pace. E così via, in una circolarità che sempre più deve diventare il nostro marchio di riflessione e di azione. Consapevoli che la storia di questi anni ci riserva sfide aspre. Ma – ed è l’augurio migliore che possiamo farci per il 2024 – anche l’opportunità di continuare ad affermare che un mondo più giusto, più fraterno, più pacificato, in definitiva più umano è possibile.
Luciano Gualzetti
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