Dopo la lacrime, è l’ora di una politica lungimirante

Dopo la strage dell’isola dei Conigli a Lampedusa molti si sono messi a parlare di immigrazione, di profughi, di mercanti di schiavi, ... Scusate la brutalità, ma forse non tutti hanno il diritto di farlo. Quanti sono stati sempre alla finestra a guardare quelli che invece le maniche se le rimboccavano, che cercavano di tamponare qualche falla in un sistema di accoglienza non certo all’avanguardia, di un meccanismo di integrazione decisamente insufficiente, questi adesso dovrebbero stare un po’ zitti e imparare ad ascoltare.
Ascoltare anzitutto i racconti degli ospiti dei centri di accoglienza per capire a quale livello di disperazione si deve arrivare per decidere di lasciare tutto, indebitarsi fino al collo per affrontare viaggi cosiddetti della speranza che per molti finiscono senza neppure una pietra tombale.
Ascoltare i racconti di quanti, operatori o volontari, con questi uomini e donne e bambini hanno accettato di condividere un pezzo di vita, di professione, di competenza per scoprire che forse solo nelle favole esiste qualcuno che voglia far venire qua da noi tanti immigrati allo scopo di destabilizzare la nostra cultura, le nostre tradizioni, la nostra storia.
Mi rendo conto che di fronte ad emergenze come queste vada auspicato uno spirito di collaborazione, non di polemica. Peccato che se da vent’anni continuiamo ad essere in stato di emergenza è anche a causa di un approccio utilitaristico al fenomeno migratorio, finalizzato a tenere alta la paura della popolazione così da lucrarne vantaggi elettorali.
Adesso basta. Bisogna imparare ad ascoltare il problema per affrontarlo con lungimiranza, pragmatismo e umanità. Bisogna aiutare la gente ad interessarsi di politica internazionale dal momento che non è più pensabile ricercare il proprio benessere ignorando quanto accade nei Paesi che abbiamo accanto. È necessario che dal basso salga la domanda di una visione del mondo e delle relazioni tra gli stati che pongano le premesse perché nessuno debba più scappare dal proprio Paese alla ricerca di un domani.
Quello dell’immigrazione è proprio uno dei problemi che richiedono la logica delle “larghe intese”, uno di quei problemi che nessun Paese europeo potrà mai illudersi di affrontare in autonomia. Uno di quei problemi che richiede uno sguardo rivoluzionario rispetto all’economia, alla finanza, al mercato, alla politica, alla cooperazione tra i popoli.
Non c’è bisogno di essere cristiani per provare immensa pietà e ferma decisione perché quanto accaduto non si ripeta. Buonisti no, umani sì.

 

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