Un doveroso tributo

È questo che come Caritas dobbiamo riconoscere a Benedetto XVI, Vescovo di Roma emerito. Ora che si sono placate le voci a commento della sua inaspettata e sofferta rinuncia, ora che la Chiesa ha un nuovo successore di Pietro, possiamo tentare uno sguardo retrospettivo a partire dalla nostra sensibilità, quella che trova radice nel mandato che ci è affidato sin dalla nostra nascita.
Sono almeno due i motivi per esprimere riconoscenza e gratitudine a Benedetto XVI. Uno di contenuto e uno di metodo. Dal primo punto di vista non credo di essere lontano dal vero se affermo che il tema della carità ha avuto un ruolo centrale nel suo magistero. A partire dalla prima enciclica, Deus caritas est, alla sua terza, la Caritas in veritate, scritta in concomitanza con l'esplosione della crisi del 2008, passando attraverso il discorso con cui ha celebrato i 40 anni di Caritas in Italia. Avvicinandosi alla conclusione del suo ministero ci ha poi lasciato un documento restato ignoto ai più - il Motu Proprio “Intima ecclesia naturae” - che offre a tutti i Vescovi del mondo i binari sui quali organizzare e coordinare le attività caritative nelle loro Diocesi. Per concludere con il messaggio per la Quaresima 2013 tutto centrato sul rapporto tra fede cristiana e carità laddove con geniale semplicità ci richiamava a riconoscere la "priorità della fede e il primato della carità". Già perché la fede cristiana è vuota se non si traduce in un modo nuovo di vivere le relazioni coi nostri simili, così come la carità - se non può appoggiarsi su una fede autentica - rischia di essere cieca e indeterminata: perché dovrei amare anche chi non se lo merita, fino a che punto devo esercitare l'amore, posso porre delle condizioni nel volere bene al prossimo?
Di questo altissimo magistero siamo grati e insieme responsabili nel custodirlo e farne memoria.
Ma dicevo che nei confronti di Benedetto XVI abbiamo anche un motivo di gratitudine di tipo metodologico. Il suo rimettere il mandato che otto anni orsono gli venne assegnato resterà nei secoli un gesto profetico: sia per il coraggio di infrangere una prassi secolare, sia per l'umiltà di riconoscere il proprio limite. A fronte di una Chiesa talvolta tentata di scimmiottare le potenze mondane, Benedetto XVI non si è vergognato di mostrarsi in tutta la sua fragilità dicendo che a nessuno può essere richiesto più di quanto le forze gli possono consentire, ma soprattutto affermando solennemente che il ministero del Vescovo di Roma è ben più grande della persona di chi lo esercita. In un mondo in cui le leadership tendono ad identificarsi con un singolo capo, Benedetto XVI - in linea con Giovanni il Precursore - in qualche modo ci ha ricordato che "lui deve crescere, io diminuire", che siamo comunque strumenti, che l'unico "assoluto" è il Signore Gesù e il suo piano d'amore sull'umanità. Che dobbiamo essere pronti ad assumere le responsabilità che la Provvidenza ci affida, ma che dobbiamo essere altrettanto pronti a fare un passo indietro quando le circostanze - illuminate da un saggio discernimento - ce lo dovessero suggerire. Insegnamento decisivo anche per noi operatori della carità, sempre oscillanti tra la frustrazione per l'incapacità di far fronte alle domande che ci vengono rivolte e la presunzione che senza di noi il mondo non potrebbe andare avanti. Alcuni anni fa Msg. Franco Giulio Brambilla ci ricordava che i grandi santi della carità non furono quelli che misero in piedi chissà quali opere, ma quelli che seppero, nel tempo del loro ministero, scatenare una voglia di emulazione. La loro opera era più grande di loro e a loro sopravvisse.
La Chiesa è più grande di Joseph Ratzinger. La Caritas è più grande di noi. Esercitiamo il nostro servizio immersi in questa umile consapevolezza e continuiamo la nostra preghiera per il Papa Francesco, nuovo Vescovo di Roma.
 
Don Roberto Davanzo

Disponibile per il download l'inserto "Farsi Prossimo" di aprile 2013 de "Il Segno".

La pagina dedicata agli editoriali del "Farsi Prossimo" si trova qui.

 

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