La regione del Congo vive una situazione di forte instabilità da decenni, caratterizzata dall’alternarsi di conflitti a fasi di relativa calma. Le ostilità si sono riaccese in modo violento nel gennaio del 2025, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, vedendo contrapposti i ribelli della formazione M23, un movimento paramilitare di etnia
tutsi che si ritiene sostenuto dal governo del confinante Ruanda e in grado di finanziarsi anche grazie al controllo di miniere di tantalio (un metallo prezioso per le tecnologie informatiche), all’esercito regolare congolese e varie milizie locali. Si stima che, da fine gennaio,
circa 4.000 persone siano morte e più di 5.500 siano rimaste ferite, in particolare a seguito della conquista da parte dell'M23 delle città di Goma e Bukavu, nelle regioni del Nord e Sud Kivu, avvenute il 28 gennaio e il 16 febbraio 2025. Questi eventi hanno costretto le popolazioni locali a fuggire e a cercare un rifugio in altre aree del Paese.
Un segnale apparentemente positivo potrebbe imprimere una prima svolta alla crisi:
il 27 giugno a Washington è avvenuta la firma dell’accordo di pace tra RD Congo e Ruanda, mediata da Stati Uniti (che mirano allo
sfruttamento delle terre rare congolesi) e Qatar.
La situazione umanitaria rimane però drammatica
Da gennaio, i combattimenti hanno causato 2,3 milioni di sfollati interni nel Nord Kivu e 1,5 milioni nel Sud Kivu, mentre circa 550 mila rifugiati si sono riversati nei Paesi confinanti.
Con lo scoppio della guerra, le organizzazioni umanitarie internazionali hanno
evacuato il loro personale non essenziale e
la chiusura degli aeroporti ha ostacolato la distribuzione degli aiuti e il ritorno alle operazioni necessarie. Manca un’assistenza regolare ai rifugiati nei centri collettivi, causata anche dal fatto che numerosi organismi umanitari non hanno più potuto disporre di risorse sufficienti dopo il congelamento dei finanziamenti garantiti dall’agenzia statunitense USAID (disposto dall’Amministrazione Trump). Le condizioni di vita sono difficili anche per gli sfollati: oltre alla chiusura di alcuni campi e alla ridistribuzione dei rifugiati nei villaggi di origine, dove molti hanno trovato le case occupate da estranei o distrutte, ora molti sono costretti a tornare ai villaggi senza nulla. A complicare ulteriormente il quadro, la chiusura delle banche ha avuto un impatto diretto sulla popolazione, costringendo gli agricoltori a vendere i loro prodotti a prezzi bassi per ottenere denaro contante, che è scarsamente disponibile, nonché l’impossibilità di erogare gli stipendi ai dipendenti pubblici. Anche sul versante sanitario si registrano criticità dovute alla saturazione degli ospedali, all’assenza di medicinali e all’aumento dei casi di antrace, Mpox ed epidemie di colera. I bisogni umanitari riguardano anche la mancanza di acqua potabile, specialmente nei centri collettivi, e l’insicurezza alimentare. Inoltre, 795 mila bambini nel Nord Kivu non frequentano più la scuola e 80 scuole sono state distrutte o danneggiate.
L’INTERVENTO DELLA RETE CARITAS
La Chiesa Cattolica ha promosso la propria azione caritativa anche insieme alle chiese protestanti della regione, promuovendo un “Patto per la pace e il buon vivere insieme” nella Repubblica Democratica del Congo e nella regione dei Grandi Laghi. Oltre ad aver incontrato leader politici e ribelli, le Chiese lavorano per promuovere una conferenza regionale per la pace.
Le posizioni della Chiesa congolese sono state riprese da Caritas Internationalis in una dichiarazione al Consiglio per i diritti umani dell’Onu, chiedendo accesso umanitario, risorse adeguate, protezione degli sfollati, prevenzione del reclutamento militare forzato e cessazione delle ostilità. Gli organismi ecclesiali e della società civile denunciano, tra le altre cose, le implicazioni internazionali del conflitto, che ruotano attorno allo sfruttamento dei ricchi giacimenti minerari dell’est del Congo.
Caritas Ambrosiana ha stanziato fin da subito 20.000 euro per sostenere, con Caritas Italiana, il piano d’aiuti d’urgenza di
Caritas RD Congo, garantendo distribuzioni alimentari, kit igienico-sanitari e aiuti in denaro per 750 famiglie.
L’impegno non si limita all’assistenza materiale: la Chiesa locale e la rete Caritas internazionale continuano a denunciare le violenze, a chiedere l’apertura di corridoi umanitari, la protezione degli sfollati e il rispetto del diritto internazionale, la prevenzione del reclutamento di minori e la messa a disposizione di fondi adeguati per l’aiuto umanitario. Anche le Caritas dei Paesi confinanti si sono mobilitate, in particolare Caritas Burundi, per l’assistenza ai profughi.
Caritas Italiana si unisce a questi appelli e inoltre chiede che l’Italia si faccia parte attiva affinché si dia seguito alla risoluzione del Parlamento europeo del 13 febbraio 2025 per la sospensione del memorandum sui
minerali critici firmato dall’Unione Europea con il Ruanda a febbraio 2024, i finanziamenti al Ruanda nonché l’assistenza militare diretta e indiretta a questo paese.
Riportiamo di seguito l'intervista a don Edouard Makimba, segretario esecutivo di Caritas Repubblica Democratica del Congo.
Clicca qui per leggere l'articolo; qui sotto puoi vedere l'intervista video.
Per un aggiornamento della situazione si legga l'
articolo apparso su Chiesadimilano il 1° luglio 2025
Se vuoi sostenere gli interventi della rete Caritas:
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- 25 euro per un sussidio in denaro a una famiglia per 1 mese;
- 50 euro per un kit di beni di prima necessità per una famiglia composto da utensili e materiale igienico (lenzuola, 2 casseruole, 4 piatti, 2 coperte, 1 secchio, 1 bastone di sapone, 1 telone);
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