In Lombardia quasi 80.000 persone intrappolate nella povertà



«La Caritas non è il pronto soccorso per le emergenze, non è l’ostello per coloro che nessuno vuole accogliere; piuttosto ci sentiamo parte dell’impresa di aggiustare il mondo praticando l’amore».
Lo ha nel Duomo di Milano questa mattina l’Arcivescovo mons. Mario Delpini al termine dell’omelia che ha pronunciato presiedendo in qualità di Metropolita della Lombardia, la Messa per i cinquanta anni della Caritas in Italia concelebrata dai vescovi delle diocesi lombarde.

Finita la celebrazione, il direttore della Caritas Ambrosiana e delegato regionale delle Caritas lombarde, Luciano Gualzetti, ha consegnato all’Arcivescovo il report realizzato dalla Delegazione delle Caritas della Lombardia “Gli effetti del Coronavirus sulla povertà: il punto di vista delle Caritas lombarde”.

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Dalla ricerca emerge che sono state 78.882 le persone che hanno chiesto aiuto alle Caritas delle 10 diocesi lombarde tra settembre 2020 e marzo 2021, quando cioè il governo per contrastare la seconda ondata di contagi ha imposto nuove limitazioni.
In questo periodo, il numero di assistiti è stato leggermente superiore a quello che era stato registrato tra l’inizio della pandemia (marzo 2020) e il mese di maggio dello scorso anno quando erano state 77.000 le persone che avevano fatto ricorso alle Caritas in seguito al primo blocco delle attività economiche.

Tuttavia i nuovi poveri, vale a dire coloro che si sono rivolti per la prima volta al sistema di aiuti delle Caritas lombarde, sono stati durante il secondo lockdown il 13%, pari a 10.254 individui; mentre durante la prima chiusura erano stati il 36%, in termini assoluti pari a 27.720 soggetti.

I dati raccolti dalle Caritas mostrano dunque che le restrizioni più blande e “a geometria variabile” introdotte nella seconda fase dell’emergenza sanitaria hanno avuto un impatto significativo anche se meno pesante sulla povertà in Lombardia rispetto a quelle più severe dell’anno precedente. Ma dicono anche che una parte significativa di chi è precipitato in una condizione di indigenza durante la prima fase dell’emergenza, non si è ancora risollevata ed è rimasta intrappolata sotto le macerie sociali che il virus ha lasciato dietro di sé. Un’eredità onerosa destinata ad aggravarsi in futuro se la ripresa economica non sarà sufficiente a contenere la sospensione dei licenziamenti e se non si troverà una soluzione per chi non riesce ad onerare i debiti che ha accumulato per stare a galla.

A destare preoccupazione, per il prossimo futuro, sono infatti anche le famiglie e i piccoli imprenditori titolari di attività commerciali o artigianali che non sono in grado di restituire i prestiti contratti in questi mesi né coi propri redditi né con il patrimonio: almeno 20mila persone in Lombardia (90mila in Italia) tecnicamente definite sovra-indebitate potenziali vittime di usura.    

Secondo il report i più penalizzati sono stati i lavoratori con impiego irregolare fermo a causa del Covid; seguono i dipendenti in attesa di ricevere la cassa integrazione e le persone in difficoltà economica in attesa del Reddito di cittadinanza.

Una situazione che, secondo gli autori della ricerca, da un lato, fa emergere «la presenza di vaste sacche di lavoro sommerso», dall’altro, «i ritardi e le difficoltà del governo nell’erogare in tempi ragionevoli» le varie forme di tutela «sia le indennità di cassa integrazione legittimamente spettanti ai lavoratori in regola», sia «le misure di sostegno al reddito» previste.

Il monitoraggio conferma poi il triste primato del settore della ristorazione indicato da tutte le diocesi lombarde come uno di quelli che ha maggiormente risentito della crisi pandemica. Seguono tra i comparti economici più in difficoltà gli esercizi commerciali (segnalati da 6 diocesi), il turismo e il fitness (indicati da 5 diocesi).

Tra i problemi più gravi 9 diocesi su 10 segnalano l’aggravarsi delle difficoltà abitative delle famiglie e della condizione occupazionale dei giovani; 8 le difficoltà lavorative delle donne e la povertà educativa, 7 l’aumento del disagio psico-sociale delle nuove generazioni, «una delle novità più drammatiche introdotte dalla pandemia», si legge nel report.

Durante la seconda ondata di contagi, sono peggiorate anche le condizioni di vita nelle carceri secondo 7 diocesi: i contatti coi familiari sono stati possibili ma più diradati a causa dei limiti posti dall’uso delle nuove tecnologie aumentando l’isolamento e il disagio tra i detenuti.    
   
Di fronte a questa situazione i 14.163 volontari (di cui 2.827 over 65) che operano nelle 10 Caritas diocesane della Lombardia hanno risposto inventando forme nuove di aiuto. Quando non è stato possibile incontrare le persone in presenza, l’ascolto e l’orientamento ai servizi sono avvenuti a distanza, attraverso contatti telefonici.

È stato necessario anche riorganizzare i servizi per adattarli al nuovo contesto emergenziale. In particolare in 5 diocesi l’accoglienza notturna per i senza tetto è stata implementata ed in alcuni casi estesa anche durante il giorno.

Sono stati attivati fondi di sostegno economico per le famiglie in difficoltà a causa del Covid (9 diocesi), sono sorti progetti per sostenere l’acquisto di device per gli studenti (6 diocesi); sono stati attivati interventi specifici sul fronte del lavoro (6 diocesi) e in 3 diocesi è stato attivato un fondo di sostegno alle piccole imprese.

Infine, solo nei sette mesi della seconda fase pandemica (settembre 2020 – marzo 2021), sono stati attivati complessivamente, 109 rapporti di collaborazione con istituzioni, enti locali, associazioni e realtà del terzo settore.

Tra questi, l’accordo sottoscritto dalle 10 Caritas lombarde con Inps per la costituzione di una rete agile di welfare che consentirà ai 672 centri di ascolto Caritas presenti nelle parrocchie della Lombardia di diventare la porta di accesso ad un sistema di aiuti integrato tra pubblico e privato.   

«I lockdown hanno avuto un forte impatto sulla povertà in Lombardia, per la presenza di  un’ ampia quota di lavoro sommerso e quindi senza tutela, che ha mostrato tutta la sua fragilità, ma anche per i ritardi e l’inadeguatezza degli aiuti pubblici rispetto al costo della vita – ha osservato Luciano Gualzetti –.
Tuttavia, l’osservazione di questi mesi e l’esperienza della crisi del decennio precedente ci portano a credere che gli effetti si prolungheranno nel tempo e un bilancio reale andrà fatto solo fra qualche anno». «Nonostante queste difficoltà, in questo periodo – ha aggiunto – è stato incoraggiante vedere il grande impegno dei volontari, la creatività degli operatori che hanno trovato soluzioni nuove per affrontare i problemi nel nuovo scenario e il grande senso di unità che ha spinto enti, associazioni, aziende a lavorare assieme per un solo obiettivo. Tutto questo rimarrà e sarà l’eredità migliore che questo drammatico periodo ci lascerà, permettendoci di affrontare anche le sfide future».

Rispondendo ai giornalisti Gualzetti ha sottolineato che «la didattica a distanza ha penalizzato molto gli adolescenti anche dal punto di vista relazionale. Ciò ha prodotto sofferenza psichica e ha molto aumentato la domanda da parte loro di supporto di personale specializzato».

Commentando le parole dell’Arcivescovo Delpini ha aggiunto: «L’Arcivescovo e il Papa ci invitano a stare attenti alle nuove povertà, a quelli che rischiano di rimanere invisibili, scarti della società perché è solo dalla prospettiva degli ultimi che si possono comprendere quali sono le contraddizioni della nostra società per cambiarle a vantaggio di tutti, non solo dei poveri».

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Del Direttore: 
Luciano Gualzetti



 
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