In questi giorni, leggendo e pensando alla vita e alla morte di Satnam Singh, ci siamo fatti diverse domande, tutte piene di angoscia.
Abbiamo senz’altro un’opinione sul sistema criminale del caporalato, sull’omertà e il silenzio che lo sostengono, sulla politica ipocrita delle im-possibili regolamentazioni dei soggiorni.
Sappiamo anche che andare a fare la spesa e comprare frutta e verdura è un atto che richiede la nostra consapevolezza, per capire chi è stato sfruttato per assicurarci un certo prodotto.
Tutto questo lo sappiamo, lo denunciamo e continueremo a lavorare perché nulla resti sommerso, ma oggi non è sufficiente.
La domanda più pressante, infatti, oggi riguarda la dignità umana, che non si può calpestare, insultare e ignorare in questo modo.
Ci pare che questa vicenda ci dica che alcuni di noi non possono né vivere né morire con dignità.
Evidentemente non siamo affatto uguali di fronte alla vita e alla morte, nello stesso giorno e sullo stesso suolo, perché alcuni di noi devono lavorare oltre 14 ore al giorno, con circa 4 euro di paga all’ora, possono subire un grave infortunio ed essere abbandonati con un braccio tranciato, le gambe schiacciate, senza che qualcuno chiami un’ambulanza, per poi morire.
Quindi se non hai il permesso di soggiorno, o se sei assunto non regolarmente, sei meno umano e non meriti la dignità legata alla tua appartenenza “di specie”.
È piuttosto facile cercare un colpevole unico, arrabbiarsi, piangere e poi continuare a vivere come ieri.
La ricerca della giustizia è un’operazione quotidiana necessaria, ma non può essere fatta senza responsabilità condivisa; e le responsabilità vanno cercate con attenzione e lungo tutta un’articolata filiera.
Si tratta di una responsabilità fatte di scelte di consumo, di stili di vita e di possibilità di rinunciare a qualcosa per sé, di avere qualcosa di meno.
A queste scelte così personali si associano scelte più collettive, politiche e istituzionali, che spesso ci hanno suggerito esista “un noi e un loro”.
È una bugia.
Esistono tante comunità, tanti gruppi, tante differenze, ma tutte riconducibili alla medesima biologia e antropologia: che ci piaccia o meno, facciamo parte dell’unica famiglia della nostra specie, quella umana.