Siriani, strutture oltre il limite

Dopo i nuovi arrivi di migranti alla Stazione Centrale di Milano e soprattutto il blocco delle frontiere, le strutture di accoglienza gestite dalle cooperative legate a Caritas Ambrosiana sono di nuovo oltre il limite della loro capienza.
 
Sul primo fronte dell’accoglienza - la Stazione Centrale – dove da giorni la situazione è critica, il Rifugio Caritas, in via Sammartini, ha aperto le porte e mette a disposizione il servizio docce e lavanderia, in attesa che venga individuato il luogo dove allestire un centro adatto al primo intervento e al successivo smistamento nelle altre strutture del privato sociale accreditate dal Comune.      
 
Nelle retrovie, a Casa Suraya, in via padre Carlo Salerio 51, alla periferia della città, gli ospiti sono già 110 per 100 posti.  «Certo, stringendoci, potrebbe starcene ancora qualcuno, ma preferiremmo non dover arrivare al punto di mettere le brandine anche lungo i corridoi, perché le persone che arrivano sono famiglie, tra loro ci sono almeno 40 bambini, anche molto piccoli: non sarebbe decoroso», racconta Annamaria Lodi, presidente della cooperativa Farsi Prossimo, che da giorni fa la spola tra lo scalo ferroviario e questo ex convento di suore ribattezzato con il nome della prima bambina siriana nata a Milano all’inizio di questa nuova emergenza umanitaria che tra alti e bassi continua da quasi due anni.
 
I nuovi ospiti che sono arrivati al centro nelle ultime due settimane, sono siriani ed eritrei. Questi ultimi appaiono i più smarriti. Non hanno vestiti, se non quelli che indossano. Hanno speso tutti i soldi per il viaggio in mare attraverso il Mediterraneo. E sono molto provati. Nessuno desidera rimanere in Italia: solo una mamma con due figli ha dichiarato di voler fare richiesta di asilo e inizierà la procedura. La loro meta è il Nord Europa: Francia, Germania, Austria e Svezia, dove sarebbero già arrivati se le frontiere non fossero state chiuse dall’Austria in occasione della recente riunione del G7 in Germania e successivamente anche dalla Francia.
«Per passare il confine alcune famiglie hanno deciso di dividersi: i padri hanno mandato avanti le mogli con i bambini con la speranza di raggiungerli poco dopo, ma a causa del blocco sono rimasti intrappolati qui. C’è chi parte la mattina arriva a Ventimiglia e al Brennero, viene respinto e torna da noi disperato», racconta Annamaria Lodi.
 
Da ottobre 2013 ad oggi sono transitati nella strutture Caritas circa 12.000 persone di cui 7400 adulti e il resto minori (su 63mila passati da Milano). Il turn over è stato in genere molto rapido. La permanenza media di un ospite è stata di 4 giorni. Ma ora il flusso in uscita si è interrotto.
 
«Di fronte a questa tragedia umanitaria a Milano il Comune e Prefettura hanno messo in piedi un sistema di pronta accoglienza che prevede un veloce avvicendamento di ospiti. Ma è chiaro che se il flusso di uscita dai centri si blocca perché le persone vengono respinte alla frontiere, si crea un tappo che mette sotto pressione l’intero sistema e rischia di farlo saltare. Delle due l’una: o si permette il deflusso negli altri paesi, oppure bisogna rendersi conto che è cambiato lo scenario e prendere le decisioni conseguenti. Il che significa identificare le persone e potenziare i posti di accoglienza per richiedenti asilo. È una decisione che non compete al sindaco di Milano ma al ministero dell’Interno. Il governo ha portato già da 6 mila a 25 mila posti il sistema Sprar. Ma non basta ancora, perché solo nel 2014 le richieste di asilo sono state 50mila. L’accoglienza ha dei costi, ma è la sola strada possibile se vogliamo evitare problemi peggiori», dice don Roberto Davanzo. «Malgrado le criticità Milano sta rispondendo in modo adeguato per la dignità dei più poveri e per la sicurezza dei milanesi – continua don Davanzo -. Certo, lo scontro ideologico che fa dei migranti argomento elettorale molto sensibile indebolisce la capacità di intervento che potrebbe essere più significativa. L'auspicio è che le nostre parrocchie si diano occasioni di riflessione e di approfondimento del problema. E magari mettano a disposizione qualche struttura, non tanto per l'emergenza quanto per la fase successiva, per coloro che si fermeranno e avranno bisogno di aiuto per integrarsi».
 
 
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