"Reverendo, se ci troviamo in questa situazione d'affanno con i profughi è anche colpa vostra". Così rispondeva il funzionario di un importante ufficio della pubblica amministrazione poche settimane fa alla mia richiesta di capire come mai, dopo decenni di confronto col fenomeno migratorio, il nostro Paese e l'Europa intera si sono trovati ancora col fiato corto a fronte dell'ondata di profughi che non accenna a placarsi.
Ho provato a interrogarmi su questa presunta responsabilità della Chiesa e dei suoi Pastori rispetto ai massicci flussi migratori, ma in tutta onestà non sono riuscito a farmene una ragione. Certo, si può intuire a che cosa alludesse il mio interlocutore: ai ripetuti appelli del Papa rispetto alle stragi che si sono perpetuate nel canale di Sicilia, alle richieste di messa a disposizione di strutture parrocchiali per favorire un'ospitalità più diffusa, ai richiami dei Vescovi a coltivare uno spirito di accoglienza nei confronti di chi scappa da miseria e guerra. La "colpa" che ci viene attribuita è che con questi appelli in qualche modo la Chiesa incoraggerebbe ad un esodo che potrebbe non aver fine. La "colpa" ancora riguarderebbe il fatto che nelle prese di posizione ecclesiali non si dica mai "adesso basta" oppure "non possiamo accoglierli tutti" o almeno "profughi sì, migranti economici a casa loro".
Già, perchè questa mi pare sia l'ultima frontiera della mistificazione linguistica. Dopo la retorica - mai finita - che definisce implacabilmente i migranti che arrivano sulle nostre coste dei "clandestini" (e dunque imbroglioni che non rispettano le regole e che vengono a rubarci qualcosa), ora
l'escamotage gioca sulla distinzione tra
profughi e
migranti economici. I primi meritano protezione ed accoglienza, gli altri se ne tornino a casa, in fondo mica possiamo tenerli tutti!
Lungi da me immaginare che l'Italia e l'Europa possano ospitare tutta l'Africa e il Medio oriente, ma il problema che si pone non è di così facile soluzione. In che modo distinguere tra
profughi e
migranti economici? E poi che cosa significa
migranti economici? Se scappi dalla fame, dalla siccità, dalla miseria che priva di futuro te e i tuoi bambini, non hai abbastanza titoli per essere considerato meritevole di aiuto? E poi che cosa significa "rimandarli a casa"? Ma lo sappiamo che i rimpatri possono avvenire solo tra Paesi che hanno stilato specifici accordi in questo senso? Lo sappiamo che il costo di un aereo che riporti a casa coloro che non hanno titolo per stare in Italia è talmente alto che la più parte riceve un foglio di via che, anche volendo, quasi nessuno rispetta se non altro per le misere condizioni economiche di questi personaggi?
Dico queste cose con due obiettivi: il primo è quello di invitare a riconoscere la serietà e la complessità della situazione in modo da bandire ogni slogan, ogni discorso da bar, ogni chiacchiera ridicola, ogni manifestazione di protesta al grido di "qui non li vogliamo". Il secondo obiettivo è quello di educarci a riflettere sul come si possono porre le premesse affinchè l'esodo si arresti o almeno si attenui. Dunque su come far sì che queste persone non debbano più scappare da guerre, violenze e miseria e dunque sul come fare pressione perchè l'opinione pubblica esiga dai propri governi politiche internazionali lungimiranti e politiche economiche e finanziarie in grado di eliminare le inequità che stanno all'origine di tanti flussi migratori.
Nel frattempo? Nel frattempo impegniamoci tutti - come dopo un terremoto, una inondazione - a sentirci tutti responsabili di questi volti, sterilizzando polemiche politiche finalizzate a far cassa, a guadagnare facili consensi, affinché queste persone non siano solo salvate dal mare di Sicilia, ma diventino al più presto una nuova ricchezza per tutti noi.
E, giusto per chiudere, una domanda: ma quel bambino morto davanti alla spiaggia di Bodrum in Turchia che cos'era: un profugo, un migrante economico o solo un clandestino?
Don Roberto Davanzo
Leggi tutto l'inserto sul numero di Ottobre del Segno