A pochi giorni dalla chiusura di Expo 2015 questa riflessione ha tutto il sapore di una meditazione sul "dopo", sull'eredità che ci aspettiamo lasci almeno all'interno delle nostre comunità cristiane. Sarebbe ben triste se tutta la fatica e l'impegno di essere stati presenti in Expo come Chiesa con un padiglione (quello della Santa Sede) e una edicola (di Caritas) allo scopo di dire a quanti abbiamo incontrato la nostra visione sul tema del cibo, del mangiare, della distribuzione della ricchezza ... si risolvesse in sei mesi di presenza, iniziative e convegni. Expo sarà stato in qualche modo efficace a condizione di lasciare una inquietudine di fondo: la consapevolezza che il mondo è in grado di nutrire i suoi abitanti e di offrire loro una vita dignitosa a condizione che però cambi radicalmente da parte di noi, popoli più ricchi, il modo di rapportarsi a questa ricchezza che siamo chiamati a condividere e non a gestire in modo rapace ed esclusivo.
Ora che i cancelli di Expo 2015 si sono definitivamente chiusi è dunque da persone sagge interrogarci sul senso di un coinvolgimento che – come Caritas Ambrosiana – ci ha visti decisamente “sul pezzo” e, forse presuntuosamente, in grado di offrire un
di più di anima ad un evento che poteva rischiare di trasformarsi in uno scintillante luna park.
Dopo quello della semina, viene insomma il tempo dei frutti almeno auspicati che il passare dei mesi ci dirà se rimarranno solo tali o diverranno reali. All’interno di questa edizione del Farsi Prossimo avrete modo di approfondire la questione grazie ad altri seri ed autorevoli contributi.
Lo scorso 4 ottobre in Expo abbiamo promosso due eventi molto diversi ma accomunati da uno stesso filo rosso. Il primo era il convegno che portava a sintesi il lavoro svolto lungo questo anno da diverse famiglie disposte a cimentarsi nella loro esperienza di vita su un tema a noi molto caro: “Con-dividere per moltiplicare”. Il secondo evento è stato permettere a circa 2000 tra assistiti e volontari di innumerevoli servizi caritativi presenti sul territorio regionale di trascorrere una giornata in Expo e condividere insieme quello che abbiamo chiamato il “pranzo dei popoli”. Che cosa legava questi due eventi? Credo il fatto che le persone coinvolte rappresentano uno dei test più autorevoli che Expo sarà servito a qualcosa di buono. Anzitutto le famiglie. È nostra convinzione che un reale cambiamento di questo stato di disparità ed inequità debba passare attraverso scelte di vita molto piccole, molto quotidiane, ma all’insegna della logica di un con-dividere capace di ribaltare la cultura individualistica che non fa prigionieri, che illude di potersela cavare da soli e che lascia da soli di fronte alle fatiche della vita. Famiglie capaci di coinvolgersi in percorsi nei quali il
prendersi cura, il
consumare, il
lavorare e l’
abitare portino le tracce del superamento di una logica mercantile incapace di parlare il linguaggio del
dono.
E poi i poveri che ad oggi continuano ad affollare mense e dormitori, centri di ascolto e case di accoglienza: sono l’altra cartina di tornasole dell’efficacia di Expo. Saranno loro nei prossimi anni a doverci dire se dopo Expo e grazie ad Expo qualcosa nella cultura del mondo è cambiato. Saranno loro a dirci se lo slogan “nutrire il pianeta” dopo Expo e grazie ad Expo è diventato un imperativo categorico capace di rendere intollerabile che il 20% della popolazione mondiale disponga del 96% della ricchezza e che il restante 4% di ricchezza debba essere suddiviso tra l’80% della popolazione. Saranno loro a dirci se l’aver incontrato il mondo sarà stato solo un evento folkloristico o ci avrà abilitati a coltivare una solidarietà non solo con le generazioni che verranno dopo di noi, ma anche con quanti oggi condividono il nostro stesso destino umano eppure sono ancora privi delle opportunità che a noi sono state riservate.
Saranno loro, insomma, a dirci se Expo 2015 sarà servito o meno ad innestare un seme di speranza nei solchi della storia.
Don Roberto Davanzo
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