Due ragazzi normali
Probabilmente se li avessi incrociati per strada non li avrei mai notati; un ragazzo ed una ragazza di vent’anni, giovani e di bella presenza, insomma due ragazzi come tanti. In realtà quando si sono presentati al Centro di Ascolto e mi hanno raccontato la loro storia, ho scoperto che purtroppo non avevano nulla a che fare con i ventenni della nostra società.
Una signora di buon cuore, una sera li aveva visti alla fermata del bus, erano su una panchina, infreddoliti e senza cibo; ha dato loro qualcosa da mangiare ma rendendosi conto della gravità della situazione e non potendo comunicare con loro che parlavano solo francese, li ha portati al Centro di Ascolto.
Ho deciso così di “rispolverare” gli insegnamenti di francese delle scuole e ho cercato di capire la loro situazione.
Erano da poco arrivati in Italia, su un barcone carico di disperati come loro convinti che qui avrebbero potuto ricominciare una vita migliore; arrivavano da Tunisi e sarebbero dovuti essere ospitati da alcuni connazionali. Purtroppo, come spesso capita, i loro conoscenti che li avevano tenuti con loro per un po’, ora non li potevano più ospitare; si sono ritrovati così per strada, da soli, senza niente se non i vestiti che avevano addosso e senza conoscere una parola di italiano.
Oltre a questo non sapevano nemmeno dove poter andare e chiedevano così un posto almeno per poter dormire al caldo; li ho così indirizzati al dormitorio pubblico ed alla mensa per poter avere un pasto caldo, ma poi? Cosa avrebbero fatto? Dove sarebbero andati?
Avevo la testa piena di domande, i loro occhi pieni di paura e speranza allo stesso tempo, non li dimenticherò mai, mai. Quante persone si trovano in questa situazione? Quante persone tentano di scappare dalla loro vita per una speranza che poi magari si rivela una delusione? Tante, troppe persone.
Perché si tratta di PERSONE, uomini, donne, giovani e bambini, non di numeri o di oggetti che possiamo decidere se accettare o no o se ospitare oppure ricacciare indietro.
Questi due ragazzi sono stati un piccolo esempio di tutta quell’umanità che a gran voce, attraverso i loro viaggi disperati, ci sta chiedendo di ascoltarla, di guardarla e fare qualcosa.
Sono profondamente convinta che se una persona sta bene a casa sua, non deciderà mai di lasciarla, se invece decide di spendere i risparmi di una vita per imbarcarsi in un viaggio pericoloso dove magari rischierà anche di morire, allora significa che nel suo Paese la vita non è poi così serena.
I motivi per cui una persona intraprende i così detti “viaggi della speranza” sono tanti e sono seri; non si tratta di capricci o del fatto che l’Italia è un Paese così “bravo” che accoglie tutti e per questo fa gola. La realtà è ben diversa, molto spesso si tratta di una vera e propria fuga dalla fame, dalle carestie o dalle guerre; una fuga disperata che magari non porterà a nulla di buono ma che è sempre meglio che rimanere nel proprio Paese d’origine.
Questo incontro, seppur breve, mi è rimasto impresso nella mente e nel cuore; ora quando passeggio per strada, prendo il bus, o parlo con una persona al Centro di Ascolto, mi chiedo chissà come sei arrivato qui? Questa esperienza di servizio mi sta aiutando a capire prima di giudicare, e in un momento storico come quello attuale, è proprio quello che dovremmo fare tutti.
Federica Brenna
Milano 2008